The Journal of Gemmology
nº 6 2015
Sono 2 gli articoli principali di questo numero del Journal of Gemmology; il primo di Fritsch e altri è uno studio sulla ialite (varietà di opale) proveniente da Zacatecas, in Messico, che mostra una caratteristica fluorescenza verde alla luce diurna, legata alla presenza di tracce di Uranio.
Questo materiale, da cui sono state ricavate gemme di peso anche superiore ai 6 ct, contiene inclusioni fluide a 2 fasi, segni di deposizione curvi e mostra vivaci colori di interferenza se osservato a nicol incrociati; la quantità di acqua (2,7%) è sorprendentemente bassa per un opale di qualità gemma. La radioattività è al di sotto della soglia ambientale, dunque non c’è alcun problema per la salute di chi dovesse indossare gioielli con queste pietre. Sebbene nel proseguimento dei lavori di estrazione ci sarà modo di ricavare ancora del materiale, è logico supporre che solo le aree immediatamente contigue al giacimento conosciuto potranno essere produttive.
Il secondo articolo, di Kadlecikova e altri, descrive l’identificazione mediante spettrometria Raman di alcune perline risalenti all’undicesimo/dodicesimo secolo e provenienti da un cimitero nelle vicinanze di Bratislava, nonché di 4 intagli databili attorno al secondo/terzo secolo e sempre ritrovati in Slovacchia. Per quanto riguarda le perline, gli esemplari di colore viola che erano sempre stati ritenuti ametiste si sono rivelati essere in realtà fluorite, mentre le perline di colore rosso-arancio sono state identificate come corniola. Anche due dei 4 intagli sono risultati essere corniola, mentre il terzo è stato identificato come diaspro e l’ultimo come granato (serie almandino-spessartina).
Un altro contributo a questo numero è dato dalla descrizione a cura di Hodgkinson di una pariglia di opali, dove però un esemplare è naturale e l’altro è sintetico; viene spiegato, tra l’altro, come distinguere i due materiali basandosi sulla luminescenza UV e sulla fosforescenza e non solo sulla tessitura.
La prima identificazione da parte di Hainschwang e Notari di un diamante sintetico incolore CVD (diametro 1,6 mm) all’interno di un lotto di 6000 pietre è descritta in un breve studio, in cui si sottolinea come “l’intruso” sia stato identificato grazie all’inusuale luminescenza (da arancio-verdastra a rosa fino a porpora) emessa quando osservata sotto le varie lunghezze d’onda del “GGTL-DFI system”, un apparecchio che consente anche la simultanea analisi della fotoluminescenza e dello spettro Raman del diamante. Da notare come sotto la classica lampada UV (onda lunga e corta) il diamante sintetico CVD non mostri alcuna luminescenza. La spettrofotometria IR ha rivelato che il diamante è di tipo IIa, senza però mostrare nessuna delle linee caratteristiche dei sintetici CVD; a parere degli autori, comunque, ogni diamante di tipo IIa “puro” di dimensioni così ridotte è da considerare come di possibile origine sintetica. La fotoluminescenza del diamante ha rivelato tra l’altro il ben noto doppietto a 736,7/737,1 nm dovuto al silicio, come pure l’assorbimento diagnostico a 467,7 nm.
La ricerca della causa del cosiddetto effetto “coffee and cream” nelle pietre gatteggianti è il soggetto dello studio di Killingback. Questo effetto è osservato quando si illuminano queste gemme mediante una luce obliqua; la metà del cabochon più vicina alla fonte di luce appare scura, mentre l’altra mostra una lucentezza “cremosa” che, come appurato dall’autore, è dovuta alla riflessione delle fibre del materiale poste più in profondità rispetto a quelle che causano il gatteggiamento.
Molto interessante, come di consueto, la corposa miscellanea di novità dal mondo delle gemme contenute nella rassegna “Gem News”, dove si parla tra l’altro di nuove provenienze delle tormaline e di novità nei trattamenti dei corindoni. Le novità nel mondo della strumentazione gemmologica e gli alert emessi da vari laboratori e associazioni trovano spazio nella rubrica “What’s new”.